Valentina vende meno vino “per colpa degli invidiosi”, mica di papà caporale presunto

La vignaiola naturale pugliese tra le braccia di Repubblica: accuse (pesanti) a concorrenti e inquirenti

EDITORIALE – Valentina Passalacqua vende meno vino “per colpa di concorrenti e invidiosi“, mica per la maxi inchiesta sul caporalato che ha coinvolto suo papà Settimio nel Gargano, in Puglia. È quanto di più scioccante si legge nell’intervista di Repubblica dal titolo: «Valentina Passalacqua: ‘Adesso parlo io: diffamata da concorrenti e invidiosi’».

Qualcosa di più simile a un “redazionale” commissionato dai legali della vignaiola pugliese a scopo “redentivo”, che a un articolo degno di un quotidiano nazionale. Del resto, la pubblicazione è utile a capire meglio perché la vignaiola si sia nascosta sino ad oggi dietro ai social, evitando di rispondere a WineMag.it che la cerca sin dalle prime ore dallo scoppio dell’uragano sulle 5 aziende famigliari, a inizio luglio 2020.

Se le responsabilità del padre dovranno essere chiarite dagli inquirenti nelle sedi più opportune, l’intervista di Repubblica consente insindacabilmente alla “Diva” del vino naturale pugliese Valentina Passalacqua di sciorinare sentenze inappellabili. Ovvero senza contraddittorio.

Giudizi camaleontici, tutti utili alla causa innocentista. Da un lato la lagna sulla decisione degli importatori americani di smettere di distribuire i suoi vini negli Usa (nell’ordine Zev Rovine Selections, Jenny & François SelectionsDry Farm Wines) giustificata dagli “attacchi social” e non da una reazione etica e deontologica all’inchiesta in corso:

L’eco mediatica, alimentata sia in Italia che in America da una campagna diffamatoria sui social, ha convinto alcuni importatori a sospendere le importazioni, in attesa di chiarire i collegamenti tra la mia azienda e quella di mio padre Settimio Passalacqua, accusato di caporalato a luglio di quest’anno”, commenta Valentina a Repubblica.

Dall’altro, la minaccia nemmeno troppo velata a chi intende ancora occuparsi del “caso”, facendo sapere (sempre grazie a Repubblica) che qualcuno è già stato querelato per aver “sporcato la nostra immagine in un momento per noi fortunato”: “Adesso stiamo affrontando chi ci attacca con fermezza, tramite i nostri legali”.

Sono stata accusata da Glou Glou Magazine, rivista della società di importazione Super Glou LLC, attraverso un articolo pubblicato sul loro sito web. Il movente economico dietro la campagna mediatica diffamatoria da loro promossa è evidente: tentano di sbarazzarsi di un concorrente. Fa notizia e fa comodo, soprattutto ai nostri competitor, una produttrice di vini naturali che sfrutta i dipendenti”.

Frasi che Repubblica non verifica e riporta alla lettera, senza porre ulteriori domande. “L’affermazione che Glou Glou Magazine fosse motivata da un conflitto di interessi da parte della sua consociata Super Glou – spiega a WineMag.it la fondatrice del Magazine americano, Jennifer Green – è palesemente assurda”.

Super Glou è microscopico rispetto a tutti i maggiori importatori di Valentina Passalacqua nel mercato americano (Zev Rovine Selections, Jenny & François, Dry Farm Wines), con solo quattordici produttori e appena due anni di attività alle spalle”.

“Motivato dalla dichiarazione di Zev Rovine del 24 luglio – continua Green – Glou Glou Magazine ha iniziato a scrivere sul caso, il 26 luglio. Zev Rovine Selections, Jenny & François, Dry Farm Wines e tutti gli importatori e distributori internazionali di Valentina Passalacqua operano indipendentemente da Glou Glou / Super Glou. Sono liberi di esprimere i propri giudizi”.

“Invece di cercare di mettere a tacere i media con la paura e le tattiche intimidatorie simili a quelle di Trump, Valentina Passalacqua dovrebbe concentrarsi su un proprio percorso etico”, conclude la fondatrice di Glou Glou Magazine, nella sua intervista rilasciata a WineMag.it.

Ma Repubblica presta il fianco anche su un altro fronte: “Il primo articolo di Glou Glou Magazine è coinciso con la perdita di mia madre e non avevo la lucidità per combattere tutto questo”, racconta la vignaiola al quotidiano.

Come confermato dal post Facebook della sorella di Valentina Passalacqua, Giuliana Passalacqua, la scomparsa di Grana Grazia in Passalacqua, moglie di Settimio, è avvenuta il 3 agosto a San Nicandro Garganico, in provincia di Foggia. L’articolo (o meglio il posti su Instagram) di Glou Glou Magazine è uscito il 26 luglio: ben 9 giorni prima.

Non basta. Nel “monologo repubblicano”, Passalacqua si affida a un leitmotiv ormai abusato nel mondo del vino italiano: quello della donna che deve a tutti i costi sgomitare per farsi largo tra gli uomini, usurpatori in lungo e in largo, senza se e senza ma, della femminea meritocrazia:

Si è supposto che mio padre fosse anche l’amministratore di fatto della mia società: per molti è difficile pensare che una donna possa gestire una realtà imprenditoriale di successo, soprattutto qui nel profondo sud”.

L’affermazione di Passalacqua, più che a “concorrenti e invidiosi”, pare rivolta in questo caso agli inquirenti, accusati di maschilismo e sessismo per aver inserito tra le società colpite dall’indagine sul caporalato anche la “Valentina Passalacqua Srl”, che di fatto è intestata alla sola figlia di Settimio.

A smentirla ci sarebbe pure un video di La7 del 2015 in cui la vignaiola, che all’epoca preferiva forse farsi chiamare “imprenditrice agricola”, presenta le aziende di famiglia districandosi abilmente tra centinaia di ettari di uve, ortaggi e seminativi (vedi sopra, dal minuto 5.36).

Potrebbe allora essere vero anche il contrario, ovvero che il padre abbia usato Valentina e il suo “buon nome” per curare i propri affari, facendosi “scudo” con una donna? Ipotesi infondata e superficiale, al momento, almeno quanto il j’accuse della produttrice nei confronti delle forze dell’ordine e del Tribunale foggiano.

Non sorprende, a questo punto, vedere i vini di Valentina Passalacqua al supermercato, per l’esattezza alla Coop. Forse un modo, per la produttrice che vanta un “approccio biodinamico-olistico alla viticoltura”, per mostrare la propria formula di “imprenditoria femminile all’avanguardia nel territorio”. Oppure la via più breve per raggiungere l’obiettivo di “democratizzazione del vino naturale“, altro concetto repubblicano espresso appunto su Repubblica.

Domanda: saranno contenti di ciò il distributore italiano Les Caves de Pyrene, che continua a mantenere viva la collaborazione con l’azienda pugliese, o VinNatur, l’associazione fondata da Angiolino Maule a Gambellara, in Veneto, che raccoglie 131 vignaioli naturali con una media di 9 ettari di proprietà, tra cui proprio Passalacqua (che ne ha 80 di ettari)? Ai posteri l’ardua sentenza. Del resto, tra compagni, giusto darsi una mano. Se serve, pure due.

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